Sono ancora qui

بهمن بلوک نخجیری
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A Firenze, nell'estate del 1501, un uomo chiamato Antonio Rinaldeschi fu arrestato e impiccato per aver tirato sterco di cavallo sullimmagine della Madonna esposta in un tabernacolo. La pena fu severa, anche per quei tempi, dato che i crimini dei quali fu accusato, bestemmia, blasfemia e tentato suicidio, non erano normalmente puniti con la pena capitale. Sacrilegio e Redenzione nella Firenze rinascimentale indica una serie di nuove fonti, scoperte in relazione allepisodio. Gli autori ci svelano come il contesto politico e religioso della Firenze rinascimentale abbia influito sia sulla sentenza di morte di Rinaldeschi, sia nella creazione da parte dei seguaci di Savonarola di una nuova devozione nel cuore della città a memoria dellevento. Alla vicenda di Antonio Rinaldeschi si ispirò anche un antico dipinto del 1502 (oggi restaurato e conservato al Museo Stibbert di Firenze), di cui sono riprodotte fedelmente alcune scene allinterno del volume, mentre in copertina appare per intero. Traduzione di Simona Calvani Se in vita, per la sua riprovevole condotta, Antonio Rinaldeschi pagò contanti, come afferma con disprezzo una nota al margine del Libro delle Condanne, il fato è stato poi benevolo verso la sua memoria, affidandola alle menti penetranti e alle abili penne di due grandi storici, che hanno saputo conferire la levità di una novella ad un lavoro scientificamente magistrale.
“Sono ancora qui, impiccato alle finestre del Palazzo del Capitano. Era l’estate del 1501, la nerissima notte della mia vita. Mi sono condotto alla morte dai Neri, i carnefici con gli abiti neri che non avevano e hanno nessun occhio, ma solo orecchi per ubbidire ai comandi. E gli Otto di persecuzione e tortura per sbarazzarsi d’un prigioniere già confessato i propri peccati, li hanno comandato d’usare la propria corda sacra per farmi tacere per sempre il più presto possibile, per il crimine imperdonabile d’imbrattamento della loro Vergine con lo sterco d’asino, e perché ero un giocatore sfortunato d’azzardo e ho provato disperato di uccidermi con un coltello, avendo visto i mercenari degli Otto strisciando come i serpenti infernali intorno a me nel giardino d’un’osservanza, dai monaci di cui aspettavo l’aiuto, ma i loro abiti avevano fatto i nobilissimi impostori.
E il popolo, che recentemente avevano perso il loro nuovo santo, Fra Girolamo, mi guardavano e celebravano una festa doppia; festa di Santissima Puttana di Cristo e festa di Giustizione d’un Povero Cristo; benché non fossi né povero né di Cristo, ma un erede non degno per il mio Padre non eterno, un infame straniero per i cittadini pii delle varie fazioni, gli Ottimati, i Grandi, il Popolare, per tutti e adesso un gran bestemmiatore. Scrivettero, essendo stato la vergogna della storia, che mi ebbero sepolto in un cimitero che appartenne ai Neri, ai carnefici acceccati dagli Dieci di libertà e pace ecclesiastiche. É veramente giusto che le bugie abbiano le gambe lunghe.

Ma io sono ancora qui, appeso alle finestre della solitudine e mi hanno visto finalmente due stranieri con i suoi occhi vigili, non credendo mai le propagande ipocrite degli Otto o dei Dieci che rispettavano e rispettano i diritti dell’uomo in modo ecclesiastico! E hanno scritto un libro intitolato “Sacrilege and Redemption in Renaissance Florence, The Case of Antonio Rinaldeschi” per accorciare le gambe di quella e le altre bugie. E forse i traduttori per amputare queste gambe accorciate l’hanno tradotto in italiano, rumeno, spagnolo, russo e adesso in una lingua, in cui parlano le clientele nuove di Girolamo. Dubito che mi possano vedere. Dubito che mi possano capire. Dubito che leggano la traduzione dei miei dolori infiniti. Dubito.

Ma ancora sono qui, sospeso nell’aria. E guardo alla gente che mi vede, mi legge, mi capisce e alle gambe amputate, questa volta da un povero cristo, benché sia né di Cristo, né ...”.